Ciao Orecchiabilinə,
anche oggi siamo in ritardo di qualche ora rispetto a quello che, una volta, sarebbe stato il consueto orario di invio di questa newsletter. È un periodo così, in cui abbiamo assunto le sembianze di due pucciosi ghiri in letargo e invece di uscire puntuali ogni due giovedì mattina, ci prendiamo tutto il tempo che ci serve per stare nelle nostre tane ad ascoltare e recensire con tutta calma i podcast che abbiamo scelto per voi. Perdonateci e vogliateci bene lo stesso. Oggi il menù prevede che Giacomo vi parli di quell’interessante esempio di reportage giornalistico che è La Nave, con un inconsueto misto, per queste pagine, di apprezzamenti e critiche. Chiara invece è ricaduta rovinosamente nel tunnel del true crime grazie a quel paludoso gioiello di Bone Valley.
Pronti, partenza, play!
La Nave, Il Post 🇮🇹
Se dovessi parlarvi della cosa che più mi da fastidio di giornalismo e politica italiani è la narrazione iperpolarizzata che viene usata per raccontare migranti, migrazioni e tutto il mondo che ci sta intorno, relegando problemi complessi a quattro frasi fatte che servono solo a far sobbollire gli animi di chi sta dalla propria parte della barricata. In fondo è poi questo il motivo per cui mi sento di consigliare questo podcast del sempre amabile Luca Misculin, anche se ci ho trovato un po’ di difetti che mi hanno fatto storcere il naso. Ma andiamo con ordine.
Nel marzo scorso Misculin si è imbarcato sulla Geo Barents, la nave di soccorso di Medici Senza Frontiere, per una missione che aveva l’obiettivo di condurre operazioni di soccorso di eventuali migranti in difficoltà. Misculin resterà sulla nave per quasi due settimane, cercando, registratore alla mano, di capire e documentare quanto succede su una di queste famigerate “navi delle ONG” , spesso malamente descritte come delle specie di centri sociali galleggianti.
La Nave è pensato e prodotto come una serie di dispacci quotidiani che Misculin scrive e monta al volo, condensando in una decina di minuti quello che giorno dopo giorno impara sui ponti della Geo Barents e raccontandolo attraverso un mix di narrazione e interviste con chi su quella nave ci lavora. È un esperimento interessante, con echi delle migliori puntate di Stories e della radio pubblica nordamericana, che indica una strada possibile e ancora poco percorsa per chi vuol fare giornalismo per le orecchie in Italia.
Il podcast de Il Post è scritto e prodotto con grande perizia e riesce nell’intento di decostruire la narrazione generalista che circonda le navi che prestano soccorso ai migranti. Girando al largo da qualunque ideologia, Misculin racconta quanto complesso e difficile sia gestire operazioni di questo tipo, tanto nelle fasi di salvataggio quanto in quelle in cui la nave resta alla deriva, sospesa in una strana tensione tra l’attesa di una richiesta d’intervento, la necessità di mantenere alta la concentrazione e la speranza che della nave non ci sia mai bisogno. Questa tensione si ritrova anche nella struttura del podcast, che, per pura casualità, costringe l’ascoltatore a prepararsi insieme alla ciurma per otto lunghi giorni/episodi, prima di essere lanciato di peso dentro a un’azione di salvataggio. All’improvviso i motori de La Nave si accendono, i ponti prendono vita e centonovanta persone vengono trasferite da un traballante peschereccio alla Geo Barents, trasformandone il paesaggio sonoro. Misculin è coinvolto direttamente nelle operazioni e il suo registratore si riempie di voci: c’è chi da istruzioni, chi offre conforto, chi spiega, chi canta e chi traduce. È il momento in cui capiamo emotivamente l’enormità del lavoro dell’equipaggio di queste navi e delle difficoltà che affronta chi da loro viene salvato.
Come vi avevo anticipato ci sono dei però, che credo derivino principalmente dal formato scelto. Non è affatto semplice produrre un pezzo al giorno mentre si naviga in preda al mal di mare: il tempo per registrazioni e sound design è chiaramente ridotto all’osso e, purtroppo, ogni tanto si sente. In particolare, nonostante Misculin faccia del suo meglio per descrivere le fattezze della nave e dei suoi ambienti, spesso deve fare affidamento solamente sulla sua voce, tralasciando quel tappeto di suoni e rumori che, in altri lavori, permette a chi ascolta di accendere l’immaginazione e sentirsi in prima persona nel luogo che gli viene raccontato. Inoltre la scelta editoriale di far uscire una puntata al giorno ha, in alcuni momenti, rischiato di far deragliare La Nave (ma che bel gioco di parole), in quei primi otto episodi in cui la Geo Barents resta inattiva, costringendo Misculin a concentrarsi sulle operazioni che vengono effettuate nei momenti di stallo. Se da una parte questo permette al giornalista di allargare il respiro del podcast ed esplorare ambiti poco raccontati della vita a bordo, dall’altra ci sono momenti di stallo in cui l’ascoltatore rischia di perdere il filo. Nessuno di questi è un peccato capitale, ma mentre ascoltavo La Nave mi sono trovato varie volte a chiedermi come sarebbe stato ascoltare questo podcast se prima di essere rilasciato nell’etere fosse passato per un periodo di decantazione in studio.
La Nave non vi tenterà con una scintillante confezione e con la promessa di un racconto tutto pathos e emozioni, ma uscirete dal suo ascolto con un’immagine chiara e precisa di quanto difficile e importante sia il lavoro della Geo Barents e delle sue navi sorelle e potrete dire di aver ascoltato uno dei primi tentativi di reportage giornalistico per le orecchie di qualità. Non mi par poco.
🎧 Consigli di ascolto: per come è stato pensato e prodotto, La Nave è un podcast che va ascoltato a piccole dosi quotidiane. Una puntata al giorno e sembrerà anche a voi di essere in viaggio sulla Geo Barents
Bone Valley, Lava for Good & Signal Co. No1 🇺🇸
Orecchiabilinə di lungo corso sanno già del mio complicato rapporto con il true crime, sospeso tra dipendenza e assuefazione, che mi porta ad essere scettica di fronte all’ennesima promessa di coinvolgimento, suspence e angoscia del milionesimo podcast true crime. Finisce così che ne ascolto sempre di meno, con sempre meno interesse e raramente proseguo dopo il primo episodio. Con Bone Valley la reticenza all’ascolto si è protratta fino a quando mi sono ritrovata a Las Vegas agli Ambies Awards e i due host, King e Decker, si sono portati a casa non uno ma ben due premi: quello come miglior documentario e quello come miglior reportage, vincendo contro, tra gli altri, il mio podcast preferito del 2022, We Were Three. Così, tornata a casa, ho finalmente premuto play ed è successo di nuovo: catturata, un’altra volta, nelle grinfie della dipendenza da «scusa non posso, devo capire come va a finire».
Quindi, carə lettorə, date una chance anche solo al primo episodio, il cui incipit sembra rubato da una sceneggiatura di una qualsiasi serie tv crime e invece è il fedele racconto di quello che è successo a Gilbert King alla presentazione del suo libro su un caso di malagiustizia americana a una platea di giudici. Durante il firmacopie il giudice Scott Cupp si avvicina, gli lascia il suo biglietto da visita con dietro una nota misteriosa e gli chiede di chiamarlo. King ci pensa un po’ ma poi capisce di trovarsi in una situazione alquanto inaspettata, con un giudice gli sta dandoindizi riguardo un possibile caso da investigare: quello di Leo Schofield, accusato dell’omicidio di sua moglie Michelle, diciottenne nel 1987, e che sembrerebbe essere innocente.
King fa armi e bagagli, carica il suo cane in auto e si scoppia un viaggio di quasi duemila chilometri da Brooklyn alla Florida per indagare su questa vicenda, con l’aiuto di una giornalista locale, Kelsey Decker. Il podcast, che prende il nome dal luogo in cui è stato ritrovato il corpo di Michelle, si sviluppa intorno al racconto dettagliato di cosa è accaduto prima, durante e dopo la morte della diciottenne. Il racconto è ricco di interviste, inframezzate da registrazioni originali dell’epoca e dalla voce del duo investigativo King e Decker. Come da migliore tradizione l’intento di Bone Valley è di smontare pezzo dopo pezzo l’ennesimo caso di una giustizia fallimentare, supportato da anni di rovinose indagini. Senza voler scadere nello spoiler più selvaggio, vi basti sapere che Leo, il presunto killer, è stato condannato all’ergastolo nonostante le prove a suo carico siano quasi ridicole. Come se non bastasse, la scoperta di pesanti indizi che, con solo quindici anni di ritardo, sembrano scagionarlo e puntare molto decisamente verso un altro colpevole, vengono bellamente ignorati. King e Decker si spingono oltre: compensano le mancate indagini e grazie al loro podcast potrebbero aver contribuito a riaprire il processo, ma è ancora troppo presto per saperlo.
Parte del successo di Bone Valley è dovuto alla voce dei due host e al modo pacato e professionale di raccontare questa storia, accompagnandola con scelte musicali tutt’altro che banali. Il tappeto sonoro creato da Britt Spengler, sound designer della serie, trasporta l’ascoltatore dentro il contesto geografico e sociale della storia, restituendo alle orecchie l’impressione di un sistema giudiziario che sembra essersi impantanato nelle paludi della Florida. Menzione particolare per la sigla, scritta dallo stesso Leo Schofield tra le mura dell’Hardee Correctional Institution, che, con vibes da miglior True Detective, ci investe con il suo appiccicosissimo concentrato di languide chitarre elettriche e ritmi malinconici, facendoci sentire nelle ossa tutta l’umidità dei luoghi in cui si sviluppa la vicenda.
🎧 Consigli di ascolto: prima di decidere se fa per voi, finite almeno i primi due episodi.
🧁 Bonus: sul sito di Lava For Good trovate foto e documenti riguardo al caso di Michelle Schofield, tra cui anche tutte le trascrizioni del processo a Leo.
⏭ Orecchie a 2x:
Nel mondo dei podcast accadono cose un po’ in continuazione e non sempre riusciamo, per motivi di spazio, tempo o (addirittura) linea editoriale, a segnalarvi tutto quello che vorremmo. Quindi eccovi un po’ di notizie fresche fresche in poche comode parole:
Una decina di giorni fa siamo stati invitati alla premiere della nuova stagione di WILD, in una conferenza stampa in diretta con Los Angeles (e si, ce ne stiamo un po’ bullando, ma siamo stati svegli fino a tardi per partecipare quindi lasciatecelo fare). Ne parleremo magari più in là, in maniera approfondita, ma intanto è appena uscita la prima puntata e se vi piacciono le rom-com e la L.A. latina non credo possiate fare a meno di mettervi questa bombetta nelle orecchie.
Giovedì prossimo c’è il secondo evento di Pss! Pss! a Genova, la nuova rassegna di ascolti curata dal vostro Giacomo Orecchiabile. Grazie al supporto di Radio Papesse ascolteremo lo splendido audiodocumentario Il était un père di Leslie Mehaem (già presentato al Lucia Festival di due anni fa) e ne parleremo insieme all’autrice e al filosofo Fabio Patrone. Più info sul nostro IG e su Facebook.
Bene, anche per oggi è tutto. Ora, srotolate i fili delle cuffiette e iniziate ad ascoltare! Sentiamoci su Instagram e se vi va, condividete questa newsletter con qualcuno che pensate possa apprezzarla.
Chiara & Giacomo