Orecchiabile: La Storia d’Italia, e una storia dall’Inghilterra
“The Trojan Horse Affair” e “Qui si fa l’Italia”
Ciao Orecchiabilinə,
a scrivervi sono due delle persone più stanche di tutto questo bellissimo universo in cui viviamo. Ciononostante, oggi è giovedì e come ogni giovedì che si rispetti noi ci si mette il cuore per consigliarvi dei podcast di tutto rispetto. Aspettando momenti di maggiore freschezza, procediamo! Quest’oggi Giacomo vi racconta di The Trojan Horse Affair, un’intricata e avvincente inchiesta giornalistica, tra lettere farlocche, giornalismi di discutibile livello e la peggio politica britannica. Chiara invece recupera tutte le ore di storia perse a scrivere bigliettini, ascoltando Qui si fa l’Italia e riprendendo il filo di quello che è successo nell’Italia dal Dopoguerra all’arrivo di Berlusconi.
Se avete bisogno di una dose suppletiva di podcast da ascoltare, potete tornare a frugare nei listoni dei podcast recensiti finora (italiani e in lingua inglese)
Pronti, partenza, play!
The Trojan Horse Affair, Serial Productions / The New York Times 🇺🇸
Siamo nel 2014 e un informatore anonimo manda ai giornali inglesi le fotocopie di quella che ha tutta l’aria di essere una missiva segreta tra due cospiratori intenti a descrivere un incredibile complotto: l’Operation Trojan Horse. Si tratterebbe di un convoluto piano messo in piedi per infiltrare personale musulmano alla guida delle scuole di Birmingham (U.K.) per poi trasformarle in una sottospecie di centri di radicalizzazione islamica.
La lettera era ovviamente falsa ma, altrettanto ovviamente, la stampa non si è fatta alcuno scrupolo a rilanciarne i contenuti, fomentando ondate di odio e sospetto nei confronti della piuttosto cospicua minoranza musulmana in Gran Bretagna. Così, il panico per la presunta minaccia presentata nella Troajn Horse letter ha raggiunto livelli tali da permettere a politici conservatori di usarla come scusa per cambiare le leggi anti-terrorismo del paese, introducendo politiche così retrograde da sembrare prese di peso dal peggio maccartismo.
In tutto questo gran casino c’è però una cosa che nessuno sembra essersi chiesto: chi ha scritto questa benedetta lettera? E perché? È a queste domande che cerca di rispondere The Trojan Horse Affair, un podcast prodotto dalla premiata ditta di Serial, quel piccolo e per nulla famoso progettino audio che, quasi un decennio fa, ha largamente contribuito a fondare l’industria del podcast tutta.
Il racconto si sviluppa lungo i quasi cinque anni in cui questo monumentale lavoro di investigazione giornalistica è nato e cresciuto, consentendo all’ascoltatore di seguire passo dopo passo le indagini dei reporter e risvegliando quel piccolo Philip Marlowe che dorme sopito in ognuno di noi. A guidarci in una intricata rete di sfuggenti documenti e politici dalla dubbia moralità ci pensa lo strano duo formato da Brian Reed e Hamza Syed. I due non potrebbero essere più diversi. Reed è un affermato produttore americano, che nulla sapeva del Trojan Horse Affair prima di mettersi a lavorare a questo progetto. Syed invece è un ex-dottore musulmano di Birmingham, che ha deciso di darsi al giornalismo proprio a causa di questa storia.
Per caratteristiche personali e professionali, i due co-host hanno un approccio completamente diverso alla vicenda: tanto distaccato e imparziale Reed, quanto passionale e militante Syed. Una combo esplosiva che da luogo ad accese discussioni in quasi ogni puntata, permettendoci di entrare ulteriormente dentro la produzione del podcast e il processo investigativo su cui poggia. I confronti tra Reed e Sayed diventano quindi il vero motore narrativo di The Trojan Horse Affair e l’artificio attraverso cui un mero evento di cronaca nazionale diventa l’opportunità da sfruttare per riflettere su temi più ampi. Ascoltiamo e partecipiamo quindi a discussioni sulle tematiche più disparate, dalla a differenza tra integrazione e assimilazione a considerazioni su come gli stereotipi distorcano la nostra visione del reale, passando per accorate digressioni su quanto il giornalismo si possa permettere di essere imparziale di fronte a interpretazioni faziosamente parziali del reale. Insomma, si parte per risolvere un mistero e si torna con una lista bella lunga di domande sul mondo che ci circonda.
Arrivati a questo punto della recensione posso capire che, forse, l’argomento possa non interessarvi e che stiate pensando che questo seriosamente complicato The Trojan Horse Affair non faccia per voi. E qui vi sbagliate! Certo, ogni tanto capita di distrarsi e perdersi tra la miriade di britannicissimi nomi e poco credibili, ma la scrittura, il sound design e il montaggio sono così incredibilmente fighi che, anche nei suoi momenti più densi, The Trojan Horse Affair resta leggero e godibilissimo.
Non so se questo podcast riuscirà a raggiungere le vette di successo planetario di alcuni dei suoi predecessori, ma il team di Serial Productions si dimostra ancora una volta in grado di mettere insieme un piccolo capolavoro, di varie spanne sopra a ogni altra produzione pseduo-investigativa su cui potreste mettere le vostre orecchie.
🎧 Consigli di ascolto: credo e temo che The Trojan Horse Affair vada ascoltato in un brevissimo lasso di tempo, per non perdersi troppo nelle complicazioni della burocrazia scolastica britannica. Richiede anche una certa attenzione. Il dottore ne consiglia l’ascolto in camminate e durante la preparazione automatica di pasti che non richiedano l’utilizzo di troppi neuroni.
🧁 Bonus: The Trojan Horse Affair ha creato nel mondo della stampa britannica quello che, con termine tecnico, viene chiamato “un proverbiale merdone”. Oltremanica c’è molta poca gioia al pensiero che un americano e un giornalista alla sua prima inchiesta siano stati in grado di scoperchiare il pastrocchio di bugie, ipocrisie e ridicolaggini scaturite dalla Trojan Horse letter. C’è chi fa mea culpa e chi sembra averla presa molto male. Se decidete di ascoltare il podcast tenete sott’occhio i giornali britannici, perché è facile pensare che questa storia non finirà qui.
Qui si fa l’Italia, Lorenzo Baravalle e Lorenzo Pregliasco, Spotify 🇮🇹
Storia è sempre stata delle mie materie preferite, tanto al liceo quanto all’università. Probabilmente perché ho sempre avuto la tendenza a rivangare in continuazione il passato, andando alla ricerca di momenti di svolta, tanto nella mia vita personale quanto in quella collettiva. Conoscere la storia mi serve anche per avere un quadro chiaro di qualsiasi situazione. Per questo ho odiato che in quinta liceo, età di massima confusione, non ci fosse più tempo per studiare la storia contemporanea, quella dal fascismo in poi fino a Berlusconi. Il programma veniva fatto di corsa, quando già si iniziava a sudare nelle classi per via del caldo e ci si avvicinava all’ansia della maturità.
La storia, per come ci è stata insegnata a scuola aveva una patina di noiosa e antica ripetitività. Un gran susseguirsi di date e eventi, che non sembravano avere alcuna continuità tra di loro. Non era né pop, né divertente e anche quando veniva raccontata con appassionato fervore attraverso le capacità narrative di gente come Piero Angela o Corrado Augias, sembrava roba da adulti o, al massimo da intellettuali che usavano un linguaggio distante da quello di tutti i giorni. Insomma, una noia.
Nei miei vent’anni ho dovuto mettere insieme molti pezzi, tra articoli di giornale che danno per scontati gli avvenimenti di cui parlano, documentari dalla dubbia capacità di sintesi e domande ai miei genitori, per capire il contesto intorno a cose come il terrorismo delle brigate rosse, le stragi di mafia, mani pulite, il partito comunista, la DC. Un frullato di informazioni che parla tanto di quello che siamo oggi e che, forse, le generazioni passate tendono a voler rimuovere o a dare per scontate.
Insomma, tutta questa premessa per arrivare a parlare di un podcast. Assurdo, vero? In Qui si fa l’Italia ho trovato, fin dall’ascolto della prima puntata, una freschezza nel raccontare la nostra storia più recente più unica che rara. In otto puntate i due Lorenzi autori del podcast, Baravalle e Pregliasco, riassumono egregiamente le tappe che hanno portato l’Italia a diventare la repubblica democratica che conosciamo oggi, con un linguaggio al contempo semplice ma centratissimo nel tenere insieme tutti i pezzi. C’è tutto quello che la mia generazione, cresciuta a pane e Mediaset, dovrebbe sapere (se ancora non lo sa) e, soprattutto, quello che le generazioni più giovani dovranno sapere. Il podcast, uscito proprio il due giugno dello scorso anno, arriva in un momento in cui gli ascoltatori seriali di contenuti audio erano più che pronti a questo tipo di racconti, grazie alla strada aperta dal podcast di Alessandro Barbero. A confermarlo c’è la permanenza stabile di Qui si fa l’Italia nelle classifiche dei podcast più ascoltati anche a distanza di otto mesi dalla prima uscita.
Ogni puntata è dedicata a un momento o a una figura che hanno segnato la nostra storia ed è accompagnata da interventi a personaggi di tutto rispetto che, a differenza dei due host, hanno vissuto o conoscono da vicino quei momenti. Tra le storie raccontate, una delle mie preferite è decisamente quella che si sviluppa intorno alla storica foto di Pertini e Bearzot con la coppa del mondo del 1982, presa come punta di partenza per introdurre le tante vite di Sandro Pertini. Dalla caduta della monarchia all’ascesa di Berlusconi, Qui si fa l’Italia è un piacevole tour dello stivale che osserva cosa è stato e quello che siamo oggi per capire cosa potremmo diventare. A guidarci i due Lorenzi, uno a fianco all’altro, come Fausto Coppi e Gino Bartali hanno fatto in quel famoso Giro d’Italia che ha contribuito a costruire la Repubblica Italiana.
🎧 Consigli di ascolto: iniziate con le prime otto puntate del podcast, che si concludono con l’entrata in politica di Berlusconi, a ridosso dello scandalo di Mani Pulite. Altra faccenda di cui tutti parlano ma che nessuno si è mai davvero preso la briga di spiegare in maniera chiara a chi era troppo piccolo per capirla, o proprio a chi non c’era.
🧁 Bonus: In vostro aiuto, ora che siamo all’anniversario di trentanni, ecco un piccolo compendio per capire la vicenda Mani Pulite o Tangentopoli, insomma quella roba lì che è diventata anche una serie, da un’idea di Stefano Accorsi (cit.).
Mariuoli: un podcast, di cui ad oggi è uscita solamente una puntata, che ha lo stesso scopo di Baravalle e Pregliasco: raccontare Tangentopoli a chi non l’ha vissuta.
Monetine, cinque storie di Mani Pulite: il giornalista Simone Spetia racconta le storie di chi ha vissuto, direttamente o indirettamente, quello scandalo, per capire le ricadute che ha avuto non solo sulle persone coinvolte, ma sull’impianto politico e sociale attuale.
Bunga Bunga: come gli americani vedono Berlusconi, raccontato da una splendida Whitney Cummings. La prima puntata è un riassunto for dummies di Tangentopoli, ma assolutamente illuminante perché raccontato dal punto di vista esterno, cioè di chi quella roba lì poi non l’ha dovuta vivere come una conseguenza della propria vita.
⏭ Orecchie a 2x:
Nel mondo dei podcast accadono cose un po’ in continuazione e non sempre riusciamo, per motivi di spazio, tempo o (addirittura) linea editoriale, a segnalarvi tutto quello che vorremmo. Quindi eccovi un po’ di notizie fresche fresche in poche co"mode parole:
Su Il Tascabile è uscita una breve antologia di opere audio “da ascoltare con il corpo a cura di Riccardo Giacconi”. Nel corso del pezzo Riccardo segnala un sacco di gustosissime primizie, appoggiandole delicatamente su di un lieve substrato teorico. Tutto molto bello e orecchiabile. Datecene ancora! E seguite Botafuego, lo studio di narrazione sonora di cui è co-fondatore Riccardo.
Almeno uno di noi due è finito nel tunnel di Wordle, e poi di Parle. Poi arriva Podchaser che tira fuori dal cilindro Poddle: una podcast cover da indovinare ogni giorno.
Gli host di un podcast comico australiano, Ryan and Toni, sono stati costretti a scusarsi con un’ascoltatrice che, troppo intenta a ridere mentre era alla guida, ha tamponato la macchina che aveva davanti. Il biglietto di scuse inviato insieme a un mazzo di fiori è forse la cosa più assurda di tutta la vicenda (lo trovate alla fine dell’articolo).
Abbiamo ricevuto nella nostra cassetta della posta un pacco con dentro una musicassetta, di quelle col nastro e tutto. Ce l’ha inviata Radio Raheem, per il suo nuovo progetto podcast-musicale. Si intitola Forgotten Tapes e, come suggerisce il titolo, nasce dal ritrovamento in cantina di vecchi nastri con interviste fatte tra gli anni ottanta e novanta da Giorgio Valletta, dj, giornalista musicale e, tra le altre cose, fondatore del Club To Club. Per ora è uscita solamente una puntata, dedicata ad Aphex Twin, disponibile sia in italiano che in inglese, e promette già molto bene
Bene, anche per oggi è tutto. Ora, srotolate i fili delle cuffiette e iniziate ad ascoltare! Sentiamoci su Instagram e se vi va, condividete questa newsletter con qualcuno che pensate possa apprezzarla.
Chiara & Giacomo