Ciao Orecchiabilinə,
La primavera è alle porte ma essendo aprile il mese più crudele dell’anno, abbiamo deciso di parlarvi di robine leggere come isole apparentemente infestate da fantasmi, pane allucinogeno e il marciume dell’apparato giuridico statunitense. Il tutto con solo tre giorni di ritardo rispetto a quando questa newsletter sarebbe dovuta uscire. Chiara si butta a capofitto su Pane e fantasmi, inventando neologismi nel farlo, mentre Giacomo tira fuori il suo nerdismo per la storia dei podcast con In the Dark.
Pronti, partenza, play!
Pane e fantasmi, Amedeo Berta, Tre Soldi, Rai Radio 3 🇮🇹
Pane e fantasmi è un audio documentario che indaga sulla leggendaria segale allucinogena di Alicudi e di come avrebbe causato un'allucinazione collettiva tra gli abitanti dell'isola ai primi del Novecento. Dopo anni trascorsi a scrivere, produrre e condurre STRANO Podcast, Berta decide di cimentarsi con l’audiodocumentario e lo fa esordiendo per Tre Soldi di Rai Radio 3.
Durante la piovosa Pasqua dello scorso, si reca ad Alicudi per registrare le narrazioni degli abitanti dell'isola e farsi accompagnare in un viaggio nel suo misterioso passato. Storie di streghe, di voci che si perdono nel vento e di cani fantasma riverberano nelle nostre orecchie attraverso le voci graffiate dal tempo degli anziani alicudari. Come tutte le leggende che si rispettino, i racconti raccolti da Berta hanno quella qualità un po’ sfocata delle storie ascoltate per la prima volta con orecchie di bambinə e che spesso si trasformano in ricordi evanescenti con il passare del tempo. Questa parte esoterica dell’immaginario locale sarebbe influenzata da un fungo parassita che si nutre di cereali e produce acido lisergico, trasformando così della comune segale in un potente allucinogeno. Pare, poi, che questa farina sia stata usata da degli ignari fornai per sfornare delle fragranti pagnotte provocando così questa presunta allucinazione collettiva. La ricerca di Berta, come spesso accade mentre si indaga, prende una svolta inattesa quando inizia a raccogliere e mettere insieme i pezzi di queste storie tramandate negli anni, scoprendo molto di più sull’origine di questa vicenda, ma non voglio rovinarvi la sorpresa e mi fermo qui.
Pane e Fantasmi si caratterizza per essere un metaracconto dell’indagine stessa, dove il Berta professionista si sovrappone a quello di un ansioso produttore di audiodocumentari alla sua prima esperienza sul campo, che viaggia con in una mano il microfono e nell’altra la sua ansia, che non lo lascia e anzi lo segue durante tutto il viaggio. La sua voce alterna un continuo susseguirsi di informazioni sulle cose appena scoperte ai rimuginamenti interiori che le accompagnano, coinvolgendo l’ascoltatore tanto nel viaggio fisico di Berta quanto nel suo viaggio interiore e rendendolo così parte attiva del processo.
Il valore aggiunto del lavoro di Berta si trova anche nel paraaudio, un neologismo che mi concedo di coniare prendendo spunto dal concetto di “paratesto” in letteratura e che troverete presto nei manuali di scuola con la definizione di “la parte accessoria e complementare di un lavoro audio”. Berta è uno dei pochi produttori nel panorama italiano a lavorare in maniera egregia sulla costruzione di immagini coordinate che funzionino non solo per attirare l’occhio di chi scorre annoiato sui feed di Instagram, ma soprattutto come una vera e proprio estensione del contenuto audio, aprendo la strada a un diverso modo di pensare a come proporre e far vivere lavori come Pane e Fantasmi al di fuori delle nostre orecchie. L’immagine visiva che accompagna questo audiodocumentario è curatissima nei dettagli e incredibilmente coerente non solo con l’immaginario dello stesso audiodocumentario, ma anche con lo stile dei lavori prodotti precedentemente da Berta. Un mondo visivo reso ancora più solido grazie alla sua perfetta coesistenza con le musiche originali prodotte per l’occasione, che contribuiscono a creare in chi ascolta le sfumate immagini di fantasmi fluttuanti tra i fichi d’india e il cielo opaco di Alicudi nella sfocata pioggerella primaverile.
🎧 Consigli di ascolto: guardate su Meteo AM (per me unico affidabile) il prossimo giorno in cui è prevista pioggia e concedetevi due orette di tempo per entrare ben bene nella storia.
👻 Episodio preferito: il terzo episodio, in cui la storia prende un’altra forma ed è forse il più metafisico di tutti.
In The Dark, New Yorker 🇺🇸
Se leggete Orecchiabile da tempo vi sarete imbattuti più di una volta in sbrodolamenti assortiti su quanto bello e importante sia Serial, il podcast true crime che ha fatto gonfiare a dismisura questa fantastica bolla dell’audio da cui vi scriviamo e da cui tutti hanno attinto a piene mani per tentare di replicarne il successo. Serial è fantastico e resta una delle mie prime raccomandazioni per chi si appropinqua ad ascoltare audio in inglese. Nella mia personale olimpiade dei podcast su delitti e affini si guadagna però solamente la medaglia d’argento, dietro alla seconda stagione di In the Dark uscita nell’ormai lontano 2018. Perché parlarne ora, vi chiederete? Beh, In The Dark era stato cancellato dalla sua casa di produzione ma, giusto un paio di settimane fa, è arrivata la gioiosa notizia che il New Yorker ha deciso di comprarlo e farne il suo primo podcast. Quindi eccoci qua. E ora magari vi parlo pure del podcast.
È una tranquilla mattina del 1996 quando un pensionato entra in un negozio di mobili di una piccola cittadina del Mississippi. È un ex-impiegato ed è passato a salutare i suoi colleghi. Ad aspettarlo trova invece i cadaveri di quattro persone, tutte uccise con un colpo di pistola alla testa. Per il crimine viene arrestato Curtis Flowers, un ragazzo di colore che solo qualche settimana prima pare fosse stato stato licenziato dallo stesso negozio. Il procuratore distrettuale Doug Evans, un uomo bianco di mezza età, è così sicuro della sua colpevolezza che propone la pena di morte. Flowers viene effettivamente condannato e messo ad attendere il suo destino nel braccio della morte. La condanna viene però annullata in appello a causa della condotta del procuratore, ritenuta non professionale e per nulla imparziale. Il caso torna sulla scrivania di Evans, che lo riporta in tribunale. Flowers viene di nuovo condannato. Il verdetto viene anche questa volta annullato in appello. Il caso torna sulla scrivania di Evans, che lo riporta in tribunale. Flowers viene di nuovo condannato e il verdetto viene di nuovo annullato in appello. E no, non ho sbagliato a scrivere. Perché questa manfrina si ripete, con qualche variazione, per ben sei volte nel corso di oltre vent’anni. Nel frattempo Flowers, che si è sempre dichiarato innocente e che è formalmente solamente un “accusato”, resta in prigione nella sezione dedicata a chi attende la pena capitale. Bello, no?
È qui che irrompono nella storia Madeleine Baran e il suo team, gli autori di In the Dark, che decidono di trasferirsi in Mississippi per scavare a fondo in questa storia. Nel farlo, rifiutano la costruzione classica di un podcast true crime e, invece di accumulare indizi alla ricerca di un colpevole, vivisezionano puntata dopo puntata il caso dell’accusa, mettendone in luce tutte le sue contraddizioni. Dove altri autori si sarebbero persi tra sordide descrizioni del crimine e il tentativo di indagare in maniera un po’ invadente le vite dei protagonisti, Baran e soci mantengono un approccio più ampio, concentrandosi sulle domande che contano. Com’è possibile che Curtis Flowers sia andato a processo sei volte per lo stesso crimine? Perché Doug Evans si è incaponito a dimostrarne la colpevolezza? C’è un limite al meccanismo che permette allo stesso procuratore di portare a processo lo stesso caso nonostante la sua chiara incompetenza?
Una scrittura e un sound design minimalisti e a tratti quasi asettici accompagnano il racconto, lasciando che a prendersi la scena siano la potenza di un anno di lavoro investigativo sul campo e le voci di tutti i protagonisti che girano intorno alla vicenda. È un approccio di stampo giornalistico, che, tenendosi alla larga da facili sensazionalismi, punta i suoi scarni riflettori sul marcio che si cela appena sotto la superficie del sistema giuridico statunitense, risultando al contempo efficace e avvincente, pur senza ricorrere a sofisticati trucchi retorici. Grazie all’accuratezza dell’inchiesta di Baran e dei suoi collaboratori e al successo del podcast, il caso raccontato nella seconda stagione di In the Dark è arrivato di fronte alla Corte suprema degli Stati Uniti, che ha posto una parola fine alla vicenda con una sentenza che…questo ve lo lascio scoprire a voi.
Dall’uscita di In The Dark sono passate praticamente un paio di ere geologiche nel mondo dei podcast, ma questo lavoro resta il miglior esempio di come si possa fare del giornalismo di qualità attraverso il mezzo radiofonico.
🎧 Consigli di ascolto: nel frattempo c’è stata una (dimenticabile) terza stagione di In the Dark. Per trovare la storia di Flowers dovete scrollare un po’ il feed fino alla puntata S2 E1: July 16, 1996
🧁 Bonus: non è proprio un bonus soprendente, ma anche la prima stagione di In the Dark è una discreta bombetta (ha vinto un Peabody Award, così per gradire). Nel correggere questa recensione Chiara ci ha tenuto a dirmi con una certa enfasi che era pure abbondantemente meglio della seconda.
⏭ Orecchie a 2x:
Nel mondo dei podcast accadono cose un po’ in continuazione e non sempre riusciamo, per motivi di spazio, tempo o (addirittura) linea editoriale, a segnalarvi tutto quello che vorremmo. Quindi eccovi un po’ di notizie fresche fresche in poche comode parole:
Su AltreVelocità è uscito uno splendido articolo di Ilaria Cecchinato che mette in fila tutto quello che di bello è successo al Lucia Festival. Se anche voi eravate li leggetelo per fare un nostalgico sospiro
È in edicola il numero di aprile di Rumore e dentro ci trovate un paio di consigli di ascolto inediti a cura di Giacomo.
Bene, anche per oggi è tutto. Ora, srotolate i fili delle cuffiette e iniziate ad ascoltare! Sentiamoci su Instagram e se vi va, condividete questa newsletter con qualcuno che pensate possa apprezzarla.
Chiara & Giacomo