Ciao Orecchiabilinə,
In questo numero ci immergiamo (in tutti i sensi) nelle conseguenze reali e tangibili della miopia del genere umano, perché sapete che a noi piace affrontare tematiche leggere. Da un lato, una straordinaria avventura animale, triste conseguenza di scelte umane con The Good Whale, sulla vera storia dell’orca protagonista del film Free Wily. Dall’altro, il crudo impatto della crisi climatica dove è già realtà quello che nel nord del mondo si fatica a immaginare che accadrà presto: la siccità nel sud dell’Etiopia con Borena, la terra senza pioggia.
Pronti, partenza, play!
The Good Whale, Serial Productions / New York Times 🇺🇸
The Good Whale racconta la commovente e incredibile storia di Keiko, un’orca nata e cresciuta in un piccola tanica di un parco divertimenti in Messico, diventata celebre per essere stata la protagonista in uno dei film cult degli anni novanta: Free Willy. Il podcast parte proprio da questo film e dal racconto dell’amicizia tra l’orca e un ragazzino e dei tentativi di quest’ultimo di restituire la libertà al simpatico cetaceo.
Il senso di liberazione regalato dall’iconica scena finale dell’orca che scavalca i confini e nuota verso un oceano senza barriere è talmente emozionante che regala al film e, soprattutto all’orca, un grande successo. I fan di Willy/Keiko ci mettono però poco a scoprire che il finale reale non è proprio uguale a quello del film: Keiko infatti vive in pessime condizioni in una piccola vasca del parco Reino Aventura a Città del Messico. La notizia si diffonde in poco tempo e i fan iniziano a chiedere a gran voce di liberare Keiko, mettendo la casa di produzione nella scomoda situazione di dover gestire le infelici conseguenze della popolarità del film. Tutto questo da il via a un’impresa che sembra da subito disperata: come fare per liberare davvero Keiko, quando questo è un’orca nata e cresciuta in cattività, sovrappeso e per niente abituata a interagire con altre orche o a nuotare e a procacciarsi del cibo? Come assicurarsi che liberarla non significhi condannarla a morte certa nel profondo blu dell’oceano?
The Good Whale, con la voce di Daniel Alarcón, host del popolare podcast spagnolo Radio Ambulante e pluripremiato scrittore, racconta proprio il percorso che è stato fatto per rendere possibile questa impresa. Dal trasferimento in un centro di riabilitazione creato appositamente per Keiko in un acquario dell’Oregon, al suo ritorno nelle acque islandesi, fino al suo ultimo viaggio verso la libertà in Norvegia. Durante tutte le sei puntate, le voci di esperti, veterinari, scienziati e lavoratori degli acquari si intrecciano, raccontando come hanno contribuito a questa missione semi-impossibile e traccaindo al contempo i confini del contesto ambientale e culturale dell’epoca, quando il futuro del mondo sembrava ancora florido e l’attivismo animalista era ancora umano-centrico e, mi viene da dire, leggermente naïf.. The Good Whale diventa così non solo il racconto di questa missione tutta anni novanta, ma anche un’analisi approfondita del nostro rapporto con il mondo naturale e soprattutto sulla responsabilità della specie umana nei confronti delle altre specie. Volendo leggerci qualcosa in più, possiamo anche vedere tutto il podcast come una grande metafora di quanto scelte fatte nel passato diventino ingombranti e di come ci vogliano anni per risolverle.
Se tutto questo non bastasse a convincervi, quello che rende The Good Whale un gioiellino per le orecchie è l’eccellente qualità della produzione, come di costume per tutto quello che arriva da Serial Productions. Un podcast che, come ci racconta la sua produttrice Julie Snyder, passa con grande gusto da un genere all’altro, ondeggiando tra un’epopea letteraria da raccontare intorno al fuoco a un’esplorazione scientifica, con qualche tocco da musical di Broadway nel quinto episodio. Cosa volere di più?
🎧 Consigli di ascolto: come dice Lauren Passell nella sua recensione, ascoltare The Good Whale è come ascoltare una canzone malinconica, quindi il mio consiglio è di approcciare l’ascolto allo stesso modo, con delicatezza e in un momento in cui siate sicuri che non ci sia qualcuno pronto a disturbarvi.
🧁 Bonus: Ho pensato spesso, mentre ascoltavo questo podcast, a un altro ascoltato questa estate: Sonar di Nicolò Porcelluzzi per Il Post, e che, se non lo avete ancora ascoltato, vi consiglio di recuperare. È un interessantissimo e ben fatto trattato scientifico-informativo sui suoni e il linguaggio sott’acqua. Si parla quindi molto di cetacei.
💰Nota: le ultime tre puntate del podcast sono ascoltabili solo per gli abbonati del New York Times, ma saranno disponibili a tutti dal 19 dicembre. Io, onesta, non ho resistito, ero troppo curiosa di ascoltare la puntata-musical (la numero cinque). Beh, non sono rimasta delusa.
- Chiara
Borena, la terra senza pioggia, Lifegate / Cesvi 🇮🇹
È chiaro a tutti, o quantomeno a chi non racconti fregnacce per puro calcolo politico, che le temperature si stanno alzando e che stiamo correndo incontro a disastri inimmaginabili senza. Leggiamo un articolo che ne parla, ci indigniamo, magari protestiamo un po’, e poi ce ne dimentichiamo. È come se il cambiamento climatico fosse un concetto troppo astratto e troppo grande per poter essere assimilato dai nostri limitati cervelli.
Certo, le temperature sono insolitamente alte e ogni autunno ci sono tragiche alluvioni in qualche zona d’Italia, ma continua a sembrarci lontano il momento in cui la situazione climatica diventerà estrema. Non per tutti è così.
Siamo a Borena, nel sud dell’Etiopia, una zona povera, in cui la maggior parte della popolazione vive da sempre di pastorizia e agricoltura, producendo il necessario per tirare avanti o poco più. O almeno questa era la situazione fino a qualche anno fa. Perché a Borena non piove da sei anni. Sei. Anni. E quando manca la pioggia e l’acqua inizia a scarseggiare gli animali muoiono, le piante non crescono e la vita diventa incredibilmente difficile. È così che nascono i rifugiati climatici: persone costrette ad abbandonare tutto a causa degli effetti della crisi climatica.
In Borena, la terra senza pioggia seguiamo il giornalista Valerio Nicolosi in un viaggio di una settimana in quelle zone, al seguito di una missione di CESVI, fondazione che da decenni si occupa di diritti umani e sviluppo sostenibile. Insieme a lui salutiamo la sua famiglia, saliamo su di un aereo e, dopo aver attraversato con qualche difficoltà i controlli di frontiera, ci avventuriamo nella savana etiope per osservare attraverso le sue parole l’apocalittica devastazione portata dalla siccità.
Borena si appoggia interamente sulla ipnotica voce di Nicolosi che, con il raro mix tra un tono di voce insolitamente rilassante e un’incessante parlantina, riesce nell’arduo compito di portarci in un mondo molto lontano dal nostro con le sole parole. Intorno a lui si muovono i suoni e le voci dell’Etiopia, sapientemente utilizzate in fase di montaggio per dare tridimensionalità al racconto e farci sentire, in tutti i sensi, la disperata situazione di chi si trova nella situazione di rifugiato climatico.
A metà tra il diario di viaggio e l’inchiesta giornalistica, Borena è un ascolto necessario ed importante per aiutarci a dare un volto concreto a un problema che, più prima che poi, anche noi ci troveremo ad affrontare.
- Giacomo
🎧 Note di ascolto: ascoltando Borena fate caso a quanto è bello sentire voci che parlano una lingua che non conosciamo, lasciando loro lo spazio di dipingere nelle nostre menti l’immagine di chi sta parlando, prima che la voce narrante ci aiuti a capire cosa stanno dicendo. Unitevi con me nel partito degli ascoltatori contro il voiceover. Per questa e altre scelte, applausi molti all’amato duo Rip-De Poli di Lifegate, che ha prodotto il podcast.
🧁 Bonus: le puntate di Borena sono punteggiate da un godurioso stacchetto jazz che, se non mi sbaglio, riprende l’atmosfera di una delle compilation di Ethiopiques, una fortunata, e bellissima, serie di album sulla ricca storia del jazz etiope. Godetene anche voi.
⏭ Orecchie a 2x:
Tra due settimane inizia a Firenze l’amatissimo Lucia Festival, il posto migliore del mondo in cui sedersi ad ascoltare lavori audio da tutto il mondo. Il programma è bello ricco, tra pezzi vincitori del Prix Europa come Une utopie, un mensonge di Pauline Augustyn, la preview di splendidi inediti come 9999 Una grande vita lunga di Giovanni Cioni e Theremin. Una storia segreta di Johann Merrich e una serata targata In The Dark con Talia Augustidis. E poi ancora la presenza di amici come Michela Mancini, Jonathan Zenti e Perla Sardella e tanti altri autori del panorama italiano e internazionale. Il tutto assolutamente e incredibilmente gratuito. Ci si vede lì?
Bene, anche per oggi è tutto. Ora, srotolate i fili delle cuffiette e iniziate ad ascoltare! Sentiamoci su Instagram e se vi va, condividete questa newsletter con qualcuno che pensate possa apprezzarla.
Chiara & Giacomo