Ciao Orecchiabilinə,
Oggi piombiamo nelle vostre caselle di posta come meglio sappiamo fare: senza alcuna correlazione tra le due storie che vi raccontiamo, ma non sempre i nostri ascolti si allineano, anzi, è proprio questo il bello, no?
E quindi, bando alle ciance: Chiara vi porta in un viaggio on the road negli anni novanta italiani con Ho conosciuto Kurt Cobain mentre Giacomo vi parla di una macabra storia in una delle città più anonime della provincia americana con Noble, mentre.
Pronti, partenza, play!
Ho conosciuto Kurt Cobain, Paolo Maoret e Marco Degli Esposti, Piombo Podcast 🇮🇹
Era il 2001 e avevo tredici anni quando mi infatuai di un ragazzo che vedevo vagare in giro per la mia piccola città di provincia. Di lui sapevo solo che ascoltava musica grunge e suonava la chitarra. Lo avevo notato perché era decisamente anacronistico rispetto al paesino medievale in cui vivevamo: pantaloni strappati, camice a quadrettoni e capelli visibilmente unti e dalle punte sfibrate a causa dell’acqua ossigenata in mezzo a merletti, sampietrini e cattedrali. A pensarci oggi mi vergogno nell’ammettere che è proprio questa infatuazione ad aver segnato la fine della mia preadolescenza e l’inizio del mio interesse per la musica. Ma in lui, e nei suoi amici, vedevo quello che in me era ancora un germe: essere alternativi. Rispetto al contesto, rispetto alle convenzioni dei nostri coetanei, rispetto alla storia, rispetto a tutto.
Fast-forward, un anno dopo, ero io quella anacronistica con la t-shirt dei Nirvana, capelli lunghi fino a metà schiena, converse ripescate non si sa dove e jeans della Fornarina (acquistati in passato come “vestito buono per la comunione”) scoloriti di candeggina, simbolo della mia metamorfosi ormai completata. Quello che ancora non avevo capito è che ero arrivata tardi nell’adottare un certo atteggiamento alternativo che era figlio di una rivoluzione musicale e culturale avvenuta anni prima, quando le mie attenzioni e priorità erano farmi regalare Emilio Robot per Natale. Movimento, rivoluzione, chiamiamoli come vogliamo, che avevo sempre associato alla cultura americana e che non sapevo, prima di ascoltare Ho conosciuto Kurt Cobain, quanto fosse radicata e presente in Italia e come sia stata, a suo modo, complice di questo suo fervore.
Ho conosciuto Kurt Cobain è un podcast in sette puntate che ripercorre le tappe fondamentali della parabola italiana dei Nirvana: dal tour del 1989 nei piccoli locali, quando erano ancora solamente dei ventenni che volevano fare musica grunge con i maglioni strappati e i capelli lunghi, fino agli ultimi concerti nei grandi palazzetti del 1994, quando erano la rock band che aveva superato Michael Jackson nelle classifiche americane.
Ad accompagnarci in questo viaggio on the road nell’Italia anni novanta che scopre il grunge, c’è la voce di Paolo Moret, che ricorda un po’ quella di Max Collini degli Offlaga Disco Pax e, anche per questo, mi sembra perfetta per far entrare l’ascoltatore con le orecchie e con il cuore in quel sentimento nostalgico per un’epoca passata che ha sginificato così tanto non solo per la generazione che l’ha vissuta, ma anche per tutte quelle a venire. Ogni episodio è ricco di voci di chi quegli anni li ha vissuti in prima persona, la tour manager Daniela Giombini, musicisti come Teho Teardo, Pierpaolo Capovilla, i fratelli Matteo e Tiziano Sgarbi (aka Bob Corn), Cristiano Lo Mele, giornalisti come Luca De Gennaro, Valeria Sgarella, Angela Zocco. E poi conduttori radiofonici, gestori di negozi musicali, documentaristi e soprattutto tanti fan appassionati dei Nirvana, che a quei concerti erano presenti.
Ascoltare Ho conosciuto Kurt Cobain è un tuffo nel fermento di quegli anni, con un sound design pregno di amplificatori graffianti che trasportano l’ascoltatore in quell’universo fatto di club piccoli e un po’ marci, pieni di fumo e del calore del pogo. È un tributo alla storia personale e tormentata di Kurt Cobain e, allo stesso tempo, un ritratto collettivo di una generazione, dei suoi sogni e delle sue contraddizioni, raccontato con la giusta dose di dolce nostalgia da persone per cui quegli anni sono, davvero, stati uno spartiacque.
🎧 Consigli di ascolto: Bob Corn, intervistato nel podcast, è stato per anni uno dei segreti meglio nascosti delle persone che tengono alla musica piccola e importante.
🧁 Bonus: se non lo avete già fatto, ascoltate Let the Kids Dance!, un podcast che documenta l'ascesa e la caduta del “Teen Dance Ordinance” di Seattle, una legge locale che per quasi due decenni ha reso illegale per i giovani partecipare ai concerti. Mentre il mondo intero consacrava questa piovigginosa città dello stato di Washington a capitale del grunge e della musica alternativa tutta, chi ci viveva non poteva ballare ai concerti. Assurdo! Ne avevo parlato in un vecchio numero della newsletter.
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Chiara
Noble, Shaun Raviv, Wavland, Campside Media 🇺🇸
Immaginatevi uno di quei nulla conditi di asfalto che si trovano in gran parte degli Stati Uniti. Paesini che non sono altro che lunghe distese di strade statali punteggiate di prefabbricati a distanza siderale uno dall’altro. Un negozio di articoli da pesca. Due chiese. Se ti dice bene un diner.
Noble si trova da qualche parte in Georgia e, come potete ammirare nella foto gentilmente concessaci da Google Maps, è esattamente quello che vi aspettereste di trovare in uno di questi posti. Posti in cui si nasce e si muore circondati da asfalto, alberi e pickup. E no, questo “si muore” che vi ho appena buttato lì con nonchalance non è un mio vezzo letterario.
Perché Noble, il podcast, racconta di cosa è successo ai morti di Noble, la cittadina, quando il proprietario di un forno crematorio ha smesso di fare con giudizio il proprio mestiere. A un certo punto della sua vita, Brent Marsh, questo il suo nome, invece di bruciare i defunti che gli venivano affidati e rendere le ceneri ai familiari, ha deciso di nasconderne i cadaveri in giro per la sua proprietà, lasciando che fossero la fauna selvatica e le intemperie a prendersene cura. Per anni.
E qui mi fermo nel raccontarvi la trama del podcast. In parte perché per non vorrei rovinarvi l’ascolto. In parte perché non c’è molto altro da aggiungere. Non ci sono grandi sorprese, giravolte o momenti di improvviso stupore. Gli otto episodi di Noble, il podcast, procedono placidi e ineluttabili come la vita degli abitanti di Noble, la cittadina. Nonostante l’argomento macabro e pruriginoso, Shaun Reviv, autore del podcast, non si perde mai in facili sensazionalismi e mantiene per tutta la durata di Noble un tono di aperta curiosità. La sua voce ci accompagna pacata nelle pieghe di questo strambo caso raccontandolo con la giusta calma e dovizia di particolari da tutti i punti di vista possibili: quello di Brent Marsh stesso, ma anche di vittime, familiari, poliziotti e avvocati hanno tutti il giusto spazio per dire la loro sulla vicenda.
Noble si trasforma così in un collage di emozioni e riflessioni sul significato che attribuiamo alla morte, sull’importanza che diamo ai riti funebri e su quanto il trattamento dei corpi di un defunto possa alterare la nostra percezione di quello che è successo. Il risultato è un podcast che scorre leggero, mantenendo sempre viva la curiosità dell’ascoltatore senza abusare di artifizi retorici e morbosità varie e creando quel sottile stadio di dipendenza auditiva che tanto ci rende felici.
🧁 Bonus: Noble è stato uno dei podcast preferiti dello scorso anno da gran parte di chi nel mondo dell’audio ci lavora, soprattutto dall’altra parte dell’oceano.
- Giacomo
Bene, anche per oggi è tutto. Ora, srotolate i fili delle cuffiette e iniziate ad ascoltare! Sentiamoci su Instagram e se vi va, condividete questa newsletter con qualcuno che pensate possa apprezzarla.
Chiara & Giacomo
Dopo aver "visto" Kurt Cobain sono andato a riascoltarmi tutto Nevermind. Che viaggione negli anni 90 ❤️