Ciao Orecchiabilinə,
Rieccoci nella vostra casella di posta, questa volta con due storie diametralmente opposte. Da una parte Chiara vi porta nella Londra negli anni Cinquanta grazie al ritrovamento di un vecchio nastro con My Fair Mommy, mentre Giacomo naviga in precario equilibrio tra la compassione per il dolore delle donne di The Retrievals e l'entusiasmo incontenibile per come questo podcast è stato realizzato.
Pronti, partenza, play!
My Fair Mommy, Gaetano Cappa, Chora Media e Istituto Barlumen 🇮🇹
Tutto ha inizio nel soffitto polveroso di una vecchia casa di campagna, appartenente alla madre di Gaetano Cappa, l’autore del podcast di cui parliamo oggi. Un giorno gli capita tra le mani per puro caso una scatola di vecchi nastri Geloso risalenti agli anni cinquanta. Incuriosito, li inserisce in un ormai quasi obsoleto registratore a bobine e si mette all’ascolto. In uno di questi si imbatte nella voce graffiata dal nastro di una giovane ragazza, il cui timbro ha un qualcosa di familiare.
Dentro questo nastro Cappa trova infatti un pezzo della vita di Grazia, sua mamma, ora ottantaquattrenne. Nel 1959, quando aveva vent’anni, dopo essersi trasferita a Londra per un anno, decide insieme a sua madre (la nonna di Cappa per intenderci) di scambiarsi lunghe registrazioni audio anziché chiamarsi al telefono, in quello che diventa una sorta di scambio di messaggi vocali ante litteram. Le incisioni vocali rivelano alle orecchie di Cappa chi fosse Grazia prima di diventare madre, e regalano a chi ascolta una serie di istantanee della vita di una famiglia benestante milanese. Ci sono le prime avventure al volante della madre di Grazia per le strade di una Milano scombussolata dalla costruzione della metropolitana, e i party londinesi della figlia, tra balli con i giradischi e cene nei ristoranti del centro con amici intellettuali. O ancora, momenti culturali che segnano quell’epoca come il musical My Fair Lady andato in scena al teatro Royal Drury Lane di Londra o il concerto milanese di una ragazza che «canta davvero bene, si chiama Ornella Vanoni».
Il linguaggio di Grazia è complesso e articolato e allo stesso tempo fantasioso e giovanile. La sua voce è squillante e vivace e ricorda quelle delle attrici del “cinema dei telefoni bianchi”, un sottogenere cinematografico in cui apparecchi telefonici di color avorio venivano utilizzati dagli sceneggiatori come simbolo del benessere sociale dei protagonisti. Allo stesso modo il registratore Geloso diventa un simbolo involontario della vita della Milano ricca di quegli anni, con i viaggi in «Iscozia», le amicizie giuste dotate di Jaguar che sfrecciano per il centro di Londra ignorando i limiti di velocità, i grandi cocktail party e giovani italiani all’estero che non si preoccupano di lavare i piatti, grazie alle loro domestiche che li seguono oltremanica.
Il podcast è suddiviso in sette episodi che seguono l’ordine cronologico degli eventi raccontati da Grazia, e non ha un’effettiva conclusione, con la storia della vita di questa ventenne milanese lasciata in sospeso. Cappa infatti decide di non andare oltre al contenuto dei nastri, limitandosi a raccontare quella piccola porzione di vita che in essi si trova. Da un lato è una scelta che ci permette di immaginarci con lui in una polverosa soffitta e un registratore acceso, ascoltando con interesse le voci di un lontano passato. Dall’altro non nascondo di aver atteso in più momenti una maggiore introspezione da parte dell’autore sullo svilupparsi della vita di sua mammai, attesa che rimane pressoché tale nonostante nell’ultima puntata si possa ascoltare la sua voce odierna. Come ascoltatrice, mi sono ritrovata spesso a voler colmare i vuoti narrativi lasciati aperti, chissà sé volutamente o meno, da Cappa, chiedendomi cosa sia successo agli amori passati di Grazia o come si siano evoluti la sua carriera e il suo percorso di vita. Avrei voluto conoscere meglio la Grazia che è esistita prima e, soprattutto, quella che è diventata dopo, in questi sessant’anni che la separano da un nastro analogico. In questa direzione, la scelta di Cappa di non interferire troppo si ritrova anche nel non commentare o contestualizzare certe espressioni utilizzate da madre e figlia problematiche tra razzismo e atteggiamenti di possesso da parte degli uomini.
Peculiarità del podcast è la registrazione in mono, arricchita da effetti sonori dell’epoca che si mescolano con i frammenti originali delle registrazioni. È un po’ un peccato che si sia scelto di abbinare questi effetti alle descrizioni delle azioni (tipo «chiude la porta» e si sente il rumore di una porta che si chiude). Nonostante sia ammirevole l’intenzione di richiamare i vecchi sceneggiati radiofonici, il risultato risulta essere troppo didascalico per un orecchio moderno, perdendo parte della sua efficacia.
A latere, ascoltando My Fair Mommy mi sono chiesta come fosse la vita di persone con possibilità economiche e opportunità differenti rispetto a quella di Grazia e sua madre e di come, anche a quei tempi, la tecnologia fosse ad appannaggio delle persone più abbienti e di conseguenza preservare memorie familiari con questo livello di fedeltà fosse un lusso riservato a pochi (un registratore Geloso costava quasi quanto lo stipendio mensile di un operaio).
🧁 Bonus: sul filone “italiane che scoprono la Londra libera di quegli anni”, ma con un background decisamente diverso, consiglio La ragazza con la pistola, con la combo Monicelli-Vitti.
The Retrievals, Susan Burton / Serial & NYT 🇺🇸
Disclaimer: si parla di dolore, fertilità e procedure mediche. Se non ve la sentite, passate oltre. E se invece continuate, sappiate che vi spoilero subito un bel pezzo della prima puntata. Anche voi potete passare oltre (ma solo se promettete di ascoltarlo)
Immaginate di essere su di un tavolo operatorio. Il metallo è freddo contro la vostra schiena. Siete lì per scelta, per sottoporvi a una procedura medica piuttosto invasiva che riguarda il vostro apparato riproduttivo. Avete paura. L’infermiera vi osserva comprensiva e promette che non sentirete niente: ci penserà il Fentanil, un potente oppiaceo, a gestire il vostro dolore. Arriva il dottore, prende i suoi strumenti e inizia a usarli su di voi. Sentite male. Molto male. Vi dicono di tenere duro. Che non è niente. Il male però è intollerabile. Protestate. Lo staff medico vi fa capire che le vostre lamentele sono sopra le righe. Vi rassicura dicendovi che il Fentanil farà effetto a breve. Quel breve però si dilata in un tempo infinito, perché un’infermiera tossicodipendente ha rubato il vostro oppiaceo e l’ha sostituito con soluzione salina. E acqua e sale non servono a niente, se non a bollirci della pasta.
Questo è quello che è successo a (almeno) duecento donne che si sono rivolte alla clinica della fertilità del prestigioso ospedale universitario di Yale nel tentativo di diventare madri. Tutte loro si sono sottoposte a dolorosissimi interventi senza nemmeno una goccia di antidolorifico, per poi sentirsi dire che è normale stare un po’ male. La clinica, nel frattempo, ha bellamente ignorato le loro proteste, normalizzando la sofferenza di quelle che avrebbero dovuto essere operazioni indolori di pura routine. The Retrievals, un podcast di Serial productions e del NYT scritto e narrato da Susan Barton, è il racconto della loro storia, sapientemente condensata per le vostre orecchie in un lavoro che è destinato a essere ricordato a lungo per l’incredibile equilibrio stilistico ed empatico con cui viene trattata la vicenda.
Sarebbe stato facilissimo trasformare questa storia in un drammone da dodicimila puntate, scavando a fondo nei più sordidi dettagli medici, inseguendo con fare da stalker l’infermiera protagonista del misfatto e tirando fuori dalle sue vittime tutto l’odio e le lacrime possibili. In un periodo in cui si ammassano con facilità grandi numeri di ascolto con la bieca mercificazione del dolore, Barton decide di tenersene alla larga, ponendosi come una narratrice distante dai fatti e lasciando quindi spazio a chi ascolta per pensare e digerire quanto viene raccontato senza sentirsi sopraffatto da ondate di sentimenti artificialmente imposti.
La scelta è rafforzata dalla decisione dell’autrice di presentare una differente prospettiva dei fatti in ognuno dei cinque episodi di The Retrieval, riorientando ogni volta il racconto intorno a un nuovo punto di vista e cercando di dare una visione il più completa possibile dell’accaduto. In più occasioni poi, Barton esce dal racconto per rivolgersi direttamente al suo pubblico, spiegando il perché delle scelte autoriali fatte e riflettendo ad alta voce su come interpretare quanto appena affidato al microfono. Rendendo espliciti i suoi pensieri, Barton li sterilizza, responsabilizzando l’ascoltatore a decidere per sé quali conclusioni trarre dal podcast.
Il cuscinetto che Barton crea tra l’ascoltatore e i fatti le permette anche di allargare lo sguardo, sublimando il dolore e la rabbia che si provano nei primi minuti di The Retrievals in riflessioni a mente più fredda sulla funzione della giustizia in un caso del genere, sull’aspetto totalizzante e talvolta distruttivo della maternità e, soprattutto, sul dolore femminile. Come ci ricorda anche Barton, esiste una vasta letteratura scientifica che prova in maniera inconfutabile come il dolore femminile sia costantemente sminuito, sottovalutato e relegato a qualche forma di instabilità emotiva. Sebbene non viviamo più in tempi in cui il semplice essere donna veniva patologizzato da fantastiche invenzioni mediche come l’isteria, c’è decisamente ancora un sacco di strada da fare.
La narrazione di questa grandiosità di contenuti è puntellata e resa omogenea dalle interviste con le pazienti che hanno subito le conseguenze di questa brutta vicenda. Le loro esperienze individuali danno vita a una sorta di personaggio collettivo, in cui le singole voci si sovrappongono a formare un coro che rappresenta idealmente tutte le donne che si sono trovate in situazioni simili. Coro che ritorna sottoforma musicale anche nel sound design di The Retrievals sia nell’iconica sigla del podcast (una delle migliori di sempre) sia come accompagnamento di alcune tra le scene più “difficili”.
Se vi piacciono i podcast credo che non possiate fare a meno di cacciarvi nelle orecchie The Retrievals. Cambierà il vostro giudizio su molto di quello che ascoltate e, almeno in minima parte, su come vedete il mondo.
⏭ Orecchie a 2x:
Nel mondo dei podcast accadono cose un po’ in continuazione e non sempre riusciamo, per motivi di spazio, tempo o (addirittura) linea editoriale, a segnalarvi tutto quello che vorremmo. Quindi eccovi un po’ di notizie fresche fresche in poche comode parole:
E’ uscita giusto oggi l’ultima puntata di Variazioni su M., uno dei vincitori del Premio Lucia di due anni fa. Una storia d'amore, archivio e distanze d’amore messa insieme da Martina Melilli e Botafuego Audio a partire da lettere piene di passione scambiate tra Gorizia e l’Algeria. Con un twist. Magari poi ne parliamo con calma, ma intanto eccovelo qua.
Questo weekend c’è il festival di Internazionale e, come tutti gli anni, ci trovate anche Mondoascolti, una gran bella rassegna audio curata da Jonathan Zenti. Tra gli ospiti Sara Poma e Sofia Borri con Figlie, Katz Lazlo con il suo documentario in due parti su improbabili contrabbandieri di pillole abortive, gli amici di Cemento con Kult e Eleanor McDowall, la regina di RadioAtlas e ShortCuts di BBC Radio 4.
Per tutti quelli a cui l’audio piace anche farlo, consigliamo la interessantissima lettura della tesi di dottorato fattasi libro dell’audiodocumentarista Katharina Smets e un articolo di Roberto Giacconi di Botafuego Audio (sempre loro) su RadioDoc Review sull’utilizzo della seconda persona singolare nell’audio.
Bene, anche per oggi è tutto. Ora, srotolate i fili delle cuffiette e iniziate ad ascoltare! Sentiamoci su Instagram e se vi va, condividete questa newsletter con qualcuno che pensate possa apprezzarla.
Chiara & Giacomo